Tuttavia, successe qualcosa che riaccese, temporaneamente, la speranza.
E quando dico temporaneamente sono serio.
Durante l’inverno del mio secondo anno di superiori, ci fu una terribile bufera di neve.
Tremavo dal freddo mentre aspettavo per l’autobus diretto alla stazione ferroviaria.
La fermata aveva una tettoia, ma il vento, che soffiava la neve in giro, la rese
quasi inutile. La mia giacca di melton era completamente bianca a causa della neve,
e la mia faccia e le mie orecchie erano congelate.
Si vedeva una luce fioca proveniente da una casa vicino alla fermata.
La strada bagnata serviva da specchio, rifletteva un mondo distorto e inverso.
Trovai la vista molto più bella di tutte quelle decorazioni che puntavano a una bellezza grossolana.
Passò il bus, anche se sarebbe dovuto arrivare trenta minuti fa.
Ma prima ancora che l’autista aprisse la porta, sapevo che non sarei riuscito a salire.
Guardai, con riluttanza, il lento bus andare via.
Guardai il cielo e sospirai.
Ero sicuro che mi sarei beccato un raffreddore in questo tempo, ma non me ne importava molto.
Avrei avuto una valida scusa per non andare a scuola, giusto?
Ero quasi pronto a restare li per altre cinque ore cosi da prendere la polmonite.
Ma dopo essermi seduto sulla panchina, notai qualcuno, nella fermata dall’altro lato della strada,
che come me era in attesa del bus.
Conoscevo bene quella ragazza e i suoi capelli mossi dal vento. Si, era Tsugumi, quella
che mi rifiutò la primavera del mio terzo anno di medie.
“Perché?”, pensai prima di tutto. Le nostre scuole dovrebbero essere distanti chilometri.
Mi iniziai a chiedere se forse, alcune volte, avesse delle commissioni che la portavano in questa zona.
Glielo avrei potuto chiedere, ma non riuscivo a trovare la forza per farlo.
A quel tempo, ero ancora arrabbiato con Tsugumi. Lei non aveva accettato la mia buona volontà,
quindi ora non gliene avrei data.
Una scusa egoista, si. Ma se non avessi incolpato qualcun altro, non riuscirei a vivere.
Ma ora che Tsugumi si trovava di fronte a me, trovai una parte di me che era felice.
Dovevo riconoscerlo, quanto meno.
Guardai Tsugumi male, ma lei non se ne rese conto. Forse per lei ero cosi insignificante, che già si era dimenticata di me.
Sembrava così sola, mentre tremava al freddo.
Sentivo come se avesse bisogno di qualcuno vicino per scaldarla.
Ovviamente, questo ero io che facevo ipotesi stupide e fantasticavo.
Perché quando parlavo di “qualcuno”, ovviamente intendevo me stesso.
Però mi dissi che questo era quello che lei stava pensando. Un felice malinteso.
L’illusione che potrei servire a qualcuno, mi rendeva molto felice.
Riuscii a convincermi che “Ehy, quella ragazza ha bisogno di me dopotutto.”
Dopotutto, le persone possono usare i malintesi come cibo per continuare a vivere.
La religione è un buon esempio… nah, ti prendo in giro. Non voglio far arrabbiare nessuno.